Feel-Good Productivity: quando sentirsi bene è la chiave per fare di più (e meglio)
La produttività secondo Ali Abdaal: perché essere più efficienti non è una questione di sacrificio, ma di benessere
Rieccomi, rieccomi, ancora una volta a parlare di produttività. Perché ognuno ha le sue ossessioni e la mia ha questo nome orrendo (per il quale faccio fatica a trovare un sostituto efficace; non sono abbastanaza produttivo da questo punto di vista!)

E a questo punto probabilmente vi starete chiedendo se passo le mie giornate a leggere esclusivamente libri su come ottimizzare il tempo e massimizzare l’efficienza (spoiler: forse sì, ma così ho una scusa per scriverci sopra). Ma questa volta, almeno nelle intenzioni, c’è qualcosa di diverso. Feel-Good Productivity di Ali Abdaal propone un’idea che sfida il mantra del “no pain, no gain” che permea la maggior parte della letteratura sulla produttività: e se essere più produttivi fosse, semplicemente, una questione di stare meglio (e magari fare di meno)?

La tesi è tanto semplice quanto potenzialmente rivoluzionaria: sentirsi bene non è una conseguenza dell’essere produttivi, ma un prerequisito. E la scienza, ancora una volta, ci viene in aiuto per capire perché.
Io ho letto questo testo in inglese (perché l’avevo acquistato prima che fosse tradotto in italiano come Il metodo Feel Good. O forse senza accorgermi che fosse già disponibile nella nostra lingua. Insomma, dettagli). Di conseguenza nel raccontarti gli aspetti più interessanti che ho ricavato da questa lettura ogni tanto userò i termini inglesi, soprattutto laddove non mi sentivo sufficientemente sicuro nel fare una traduzione efficace.
La chimica della produttività
Non è un caso che quando siamo di buon umore tutto sembri più facile. La ricerca ha dimostrato che uno stato d’animo positivo aumenta la nostra creatività e ci rende più aperti alle nuove esperienze. Ma c’è di più: dietro questo fenomeno si nasconde un quartetto di ormoni che orchestrano il nostro benessere (non temete: siamo esseri umani, oltre alla dopamina c’è di più):
Le endorfine, che ci regalano quella sensazione di euforia durante l’attività fisica;
La serotonina, il direttore d’orchestra del nostro umore;
La dopamina, che ci spinge a rimanere concentrati su ciò che ci appassiona;
L’ossitocina, che trasforma le nostre connessioni sociali in energia positiva.
Riuscire ad agire positivamente su questi ormoni consente di sentirsi meglio. Di conseguenza, è importante orientare il proprio vivere per cercare di massimizzare l’effetto di questi ormoni per raggiungere uno stato di benessere e soddisfazioni che innesca un circolo virtuoso, il cui risultato ultimo è anche quello di farci essere più “produttivi”.

I tre pilastri del “sentirsi bene”
Abdaal struttura dunque la sua filosofia attorno a tre pilastri fondamentali: Energise, Unblock e Sustain. L’ennesimo framework miracoloso? Forse sì, ma almeno la prospettiva è un po’ diversa.
Energise: il carburante del successo
Il primo pilastro ci invita a ripensare le fonti della nostra energia quotidiana attraverso tre lenti: Play, Power e People.
Play: riscoprire la componente “giocosa” nella vita quotidiana non è un lusso, ma una necessità. Come bambini che imparano esplorando, anche noi adulti funzioniamo meglio quando troviamo elementi di divertimento in ciò che facciamo. E gli errori? Non sono fallimenti, ma parte dell’avventura (è anche quello che dico a me stesso ogni volta che pubblico un articolo flop su Medium).
Power: non si tratta di potere inteso come dominare gli altri, ma di sentirsi “empowered”. È affascinante come questo aspetto non si declini in senso stretto collegandosi a quello che sappiamo fare (abilità tecniche o competenze speficihe), quanto alla fiducia che abbiamo nelle nostre capacità. È quella che gli psicologi chiamano “self-efficacy”, ed è il vero motore della nostra motivazione intrinseca.
People: le persone che ci circondano sono come batterie: alcune ci ricaricano, altre ci prosciugano (da persona che tende all’introversione posso confermare questa cosa, visto che spesso gli eventi sociali mi devastano fisicamente e psicologicamente). La chiave? Passare dal concepire i rapporti con le altre persone attraverso una mentalità competitiva a una collaborativa, dove il successo non è un gioco a somma zero. Con altre persone (quelle giuste) si possono raggiungere risultati che individualmente non sarebbero possibili.
Unblock: liberare il potenziale
Il secondo pilastro affronta gli ostacoli che ci impediscono di essere produttivi e che, una volta individuati, ci aiutano a sbloccarci.
Seek clarity: spesso la fonte della procrastinazione non è la pigrizia, ma la confusione. L’incertezza ci paralizza, ed è per questo che Abdaal suggerisce di fissare obiettivi che definisce “NICE”: Near-Term, Input-based, Controllable, Energising. Farlo ci consente di avere una mappa per orientarci anche quando ci troviamo in un territorio sconosciuto.
Find courage: l’amigdala, quella parte del cervello che gestisce la paura, a volte è fin troppo zelante nel proteggerci. La soluzione? Ridimensionare le nostre paure chiedendoci quanto conteranno tra 10 minuti, 10 settimane e 10 anni. Mettere tutto in prospettiva aiuta a diminuire la mancanza di azione generata dalla paura.
Get started: l’inerzia è una forza potente, e basta un piccolo passo per mettersi in moto. L’importante è creare sistemi che incentivino il più possibile questo primo passo e poi ci sostengano e supportino nel lungo termine, celebrando ogni progresso.

Sustain: mantenere lo slancio
Il terzo pilastro si focalizza in particolare su come evitare il burnout, che non è solo una malattia da ossessionati dal lavoro. Vi sono anzi diverse tipologie di burnout e per ciascuna di queste l’autore suggerisce un diverso approccio.
Conserve: il burnout da sovraccarico si combatte imparando a dire “no” e dandosi il permesso di non fare nulla.
Recharge: per evitare il burnout da stanchezza e ricaricarsi, Abdaal suggerisce di cercare attività CALM: che ci facciano sentire Competenti, Autonomi, Liberi e “Mellow” (sereni).
Align: il burnout più subdolo è quello da disallineamento, quando le nostre azioni non rispecchiano i nostri valori. Come fare quindi? Mantenere sempre una prospettiva di lungo termine, celebrando i successi intermedi.

Una nuova prospettiva
Quello che emerge dal saggio Feel-Good Productivity è quindi un messaggio liberatorio: la produttività non è una questione di disciplina ferrea o di tecniche sofisticate (e lo dice uno che ha provato praticamente ogni metodo esistente sulla faccia della Terra). È piuttosto un circolo virtuoso dove il benessere alimenta l’efficacia, e viceversa.
Non si tratta di imparare ogni tecnica di produttività esistente, ma di capire che cosa ci fa sentire energizzati e felici. Perché, alla fine, la vera produttività non sta nel fare di più, ma nel fare meglio ciò che conta davvero per noi.
La prossima volta che ti sentirai in colpa per aver preso una pausa o per aver dedicato tempo a un’attività che ti fa stare bene, ricorda: non stai procrastinando, stai investendo nel tuo capitale di produttività. E questo, secondo Abdaal (e secondo me, che finalmente ho una giustificazione per i miei momenti di apparente ozio), fa tutta la differenza del mondo.
Se ti interessa acquistare e leggere Il metodo Feel Good di Ali Abdaal, puoi farlo qui . Oppure in inglese a quest’altro link (entrambi link affiliato).
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